Nella Monteparano degli inizi del '900, quella raffigurata nella cartolina in alto, tante erano le storie tristi, segnate soprattutto dalla miseria. Una di queste è quella di una bambina che oggi diremmo “disabile”, ma che nel 1929 era definita “anormale” o “deficiente”. Anche se sono passati tanti anni non diremo il suo vero nome, la chiameremo semplicemente “Ida”, un nome breve.

Ida era nata a Monteparano qualche anno prima, affetta da eredosifilide, con conseguente demenza congenita. Secondo quanto certificò il dottor Francesco Pazienza, medico condotto del tempo, Ida era “pericolosa” per sé e per gli altri. Subito dopo la sua nascita, il padre emigrò per necessità. Andò a Buenos Aires, in Argentina, e per qualche tempo rimase in comunicazione con la moglie, inviandole periodicamente del denaro.

Tra la fine dell’800 e i primi vent’anni del ‘900, periodo della grande emigrazione transoceanica, anche Monteparano, come il resto del Sud miserabile e affamato, pagò il suo tributo di forze giovani che partivano alla ricerca di un futuro migliore.

Ma, come spesso accade, con il passare del tempo le lettere del padre di Ida si diradarono, denaro ne cominciò ad arrivare sempre meno. Alla fine non arrivò più nulla. Ida intanto cresceva, e crescendo le sue condizioni divenivano sempre più problematiche e gravi. La madre, per accudirla, non poteva nemmeno più lavorare, tanto che ambedue vivevano di quello che generosamente veniva offerto loro da amici e vicini di casa . Le crisi di Ida però divenivano sempre più frequenti, tanto che si decise il ricovero in un Istituto specializzato.

Fu il Podestà del tempo, Ciro Lezzi, che si incaricò di contattare questi Istituti, anche perché, trattandosi di famiglia sicuramente povera e decisamente bisognosa, la spesa del ricovero sarebbe stata a carico del Comune. Il 19 agosto 1929 il Podestà scrisse al Direttore della Casa di Salute per bambini anormali di Roma, chiedendo lumi sull’iter da seguire per il ricovero della bambina e sull’ammontare della relativa spesa.. La risposta arriva in fretta ed è negativa: la Casa di Salute è privata e costerebbe troppo, si suggerisce il ricovero presso il manicomio provinciale o presso l’Ospizio Pio X della capitale.

Sempre in agosto l’Asilo Tropeano di Napoli comunica una retta giornaliera di lire 8,00, ma quando il podestà si decide a chiedere l’ammissione di Ida, non vi sono posti disponibili. Analoga richiesta viene subito inviata all’Ospizio Pio X di Roma, che nel gennaio 1930 chiede un certificato medico attestante lo stato di salute della bambina.

Nel frattempo il Prefetto di Taranto, interessato della vicenda dalla stessa madre di Ida, in vista dell’eventuale ricovero a spese dello Stato, chiese al Podestà informazioni precise sulle condizioni economiche e di lavoro di tutti i componenti della famiglia di Ida e dei loro parenti, onde verificare la condizione di abbandonata in stato di vera miserabilità, che sola avrebbe consentito l’emissione del provvedimento di ricovero a carico dello Stato.

Finalmente, il 3 aprile 1930, suor Luigia Vanoni, Direttrice dell’Ospizio Pio X di Roma, scrisse al Podestà in questi termini: “Colla restituzione dei due certificati uniti, faccio conoscere alla S.V. che non possiamo ricoverare la bambina ………… perché affetta da demenza che la rende pericolosa a sé e agli altri e inoltre affetta da eredosifilide, mentre le nostre bambine deficienti sono tranquille e non pericolose”.

Qui si chiude il carteggio ritrovato. Ignoriamo che ne sia stato di Ida. Sappiamo solo che nel dicembre di quel 1930 la madre si trasferì a Taranto con la bambina, poi più nulla.

Aver ritrovato queste poche carte, aver ricostruito questa breve e triste storia serve forse oggi a ridare dignità ad una bambina che, probabilmente, in tanti allora avrebbero voluto che non fosse mai esistita.