Negli anni '60 noi eravamo ragazzini di scuola elementare. Per quanto ligi al dovere, dopo aver fatto i compiti, tornavamo ad essere ragazzi di strada, come tutti del resto. E per strada passavamo il resto del nostro tempo, sovente richiamati a gran voce dai nostri genitori. La strada è stata un po' una maestra di vita, un luogo di socializzazione infinita, la più bella alternativa alla monotonia delle nostre abitazioni prive di tutto. Per strada giocavamo e più eravamo più ci divertivamo. Per questo non potremo mai dimenticare i nostri compagni di giochi di infanzia.
Quali erano i nostri giochi? E i giocattoli? Una volta i giocattoli erano tutti "fai da te", come si dice oggi. Non c'era ancora Babbo Natale, ai doni per i bimbi pensava la Befana, che la notte del 6 gennaio portava un (proprio 1 di numero) giocattolo vero, generalmente una bambola per le femminucce e una pistola (o un pallone) per i maschi.
Ma questi giocattoli erano subito distrutti dall'ardore del gioco o dal passaggio di "Pippino la 'uardia". Allora, per il resto dell'anno, e soprattutto per l'estate che di tempo ne lasciava tanto (il mare era spesso visto solo in cartolina), i giocattoli bisognava costruirseli, talvolta addirittura inventarseli. I materiali non mancavano, erano quelli messi a disposizione dalla natura e dall'usura del tempo.
Vediamo di fare un elenco:
- "li spaseddi" (tappi delle bibite) venivano schiacciati ("cazzati") e usati come monete per giocare a "battiparete": naturalmente ci si vantava della propria collezione;
- una pietra di gesso serviva per disegnare la "campana" o addirittura un semplice stecco per fare dei segni nelle aie impolverate;
- i pneumatici di bicicletta non più usati erano una miniera per fare la "tirammolla" (fionda), insieme alle "ricchitedde" delle vecchie scarpe;
- una semplice ghianda tagliata a metà con uno stecco serviva a fare "lu curruculu" (una piccola trottola);
- la farina serviva a fabbricare la colla, che serviva sempre;
- cinque sassolini più o meno delle stesse dimensioni erano l'occorrente per giocare "alli pitruddi";
- "basciu allu sciculoni", di fronte all'altarino votivo di San Gaetano, si trovava "la creta" (argilla) per modellare statuine o altri oggetti;
- i "bottoni" venivano usati al posto delle monete in alcuni giochi;
- con tavole di legno e cuscinetti a sfera (ma non tutti li avevano) si costruivano "carrozze" e "monopattini";
- le "palline" (biglie di vetro colorate) sfondavano le tasche dei pantaloni e chi ne possedeva tante, vinte al gioco con gli altri, godeva nel farle tintinnare, come trofei di guerra, nelle tasche che affondavano sotto il loro peso.
Altri giochi tipici di quegli anni erano:
Libbra - Il classico gioco del nascondino. Chi stava al palo "punneva". Gli altri si nascondevano e poi cercavano di liberarsi. L'ultimo che non riusciva a liberarsi era costretto a "pònnere" nella mano successiva. Il gioco si faceva all'aperto, per le strade del paese che, all'epoca, erano particolarmente, e favorevolmente, buie. Nascevano spesso controversie su chi, al termine di una corsa frenetica aveva toccato per primo il muro ("lu pareti"). Tali controversie portavano molte volte qualche giocatore ad abbandonare per protesta. Nella zona di "Sobbra'llera", soprattutto nelle caldi sere d'estate, quando tutte le abitazioni erano aperte e la gente sedeva fuori a chiacchierare fino a tarda sera, uno dei posti più ambiti e sicuri dove nascondersi erano le "bare", in bella mostra in un'abitazione-bottega di via Varese. Se poi si giocava direttamente "sobbra'llera", alla fioca luce dell'unica lampadina posta sull'unico palo all'ingresso, il posto più ricercato era "la chiantata di favi di vunguli" all'inizio della discesa. Molti giocatori non ritornavano.
Salvacumpagni - Ci si divideva in due squadre e si iniziava a correre. Quando un componente veniva anche solo toccato da un avversario si doveva fermare e rimanere immobile fino a quando un suo compagno di squadra non lo toccava nuovamente., quindi riprendeva a correre. Il gioco si concludeva quando un'intera squadra veniva immobilizzata.. ( o quando ci si stancava visto che era un continuo correre).
Mazza e Mazzieddu - Gioco ormai scomparso. Consisteva nel colpire con un bastone di circa 40-50 cm un bastoncino più piccolo, appuntito alle due estremità. All'inizio del gioco il "mazziere" lanciava al volo "lu mazzieddu" colpendolo con la "mazza". L'altro giocatore, dal punto dove era caduto "lu mazzieddu" doveva lanciarlo cercando di colpire la "mazza", che era stata appoggiata al muro. Se la colpiva diventava mazziere. Se invece non la colpiva, il mazziere aveva la possibilità di fare i punti. Il bastoncino ("mazzieddu"), che era a terra, veniva colpito con la "mazza" e fatto roteare in aria, quindi veniva ricolpito con forza prima che ricadesse a terra. (non ricordo se quest'operazione si svolgesse una sola volta o tre volte). Alla fine il mazziere doveva fare una stima della distanza raggiunta, calcolata sulla base della "mazza" come unità di misura. Il contendente poteva accettare la sua stima o contestarla. In questo caso si procedeva alla verifica. Si vinceva al raggiungimento di un punteggio prefissato. Il gioco è scomparso nel corso degli anni '70, probabilmente a causa della sopraggiunta motorizzazione di massa e alla diffusione della televisione nelle abitazioni. Era un classico gioco all'aria aperta, adatto agli spazi larghi, ma che spesso veniva giocato per strada. Sovente un vetro rotto alla finestra o alla porta di un'abitazione comportava la repentina interruzione della partita e la scomparsa immediata dei giocatori, sostituiti immediatamente dall'apparire della proprietaria "danneggiata" e dalle sue imprecazioni.
Ciciru (nella foto) - Si giocava in due squadre di qualunque numero, ovviamente uguale, di partecipanti agguerritissimi più una "mamma", cioè un conduttore del gioco, con compito di essere giudice severo e imparziale. Una squadra andava sotto e l'altra saltava. Uno dei componenti della squadra che andava sotto prendeva posto chinandosi in avanti, appoggiando le mani sulle ginocchia della "mamma", che era seduta su un sedile della piazza, e nascondendo la testa tra le braccia . Gli altri prendevano posto dietro al primo, in sequenza, chinandosi anch'essi in avanti, con la testa appoggiata al lato sinistro o destro del compagno precedente abbracciandolo alle cosce. Si formava così una fila di schiene, che poteva essere piuttosto lunga se i partecipanti erano numerosi, pronte a sopportare il peso dei componenti dell'altra squadra che avrebbero dovuto saltare tutti addosso ai primi restandovi il tempo stabilito dalla "mamma". Ovviamente i primi a saltare dovevano necessariamente andare il più avanti possibile per lasciare il posto agli altri, per questo motivo si preferiva far saltare prima i più agili. Quando tutti i componenti della squadra che saltava si trovavano addosso alla squadra che andava sotto, mantenendosi in perfetto equilibrio e senza toccare minimamente terra con i piedi o cadendo, la "mamma" pronunciava la fatidica frase "dritti dritti comu a 'nu 'zzippru!" e allora dovevano ergersi dritti con il busto sollevando bene in alto le braccia e mantenere la posizione senza cadere fintanto che la "mamma", soddisfatta della prova, non la decretava conclusa assegnando la "pignata" (così si chiamava il punto). Quando anche un solo elemento della squadra dei saltatori cadeva perdendo l'equilibrio o semplicemente toccava terra con un piede, allora andavano sotto e a saltare si cimentava l'altra squadra. Era un gioco da "maschi" che si svolgeva spesso "'mmienzu alla chiazza" che richiedeva prestanza fisica, forza ed agilità. Giocando si faceva palestra. Spesso qualcuno della squadra di sotto, non sopportando il peso, "scunucchiava" e allora andavano tutti a terra tra l'ilarità generale. Io, che ero molto grosso, per volere di tutti facevo sempre la "mamma", mi dicevano che ero un buon giudice, ma nessuno mi toglie dalla testa che in realtà temessero di avermi addosso! (Peccato, chissà quante "pignate" avrei potuto far vincere!)
Scuppuloni - Si giocava con le figurine, quasi sempre dei calciatori. Esse venivano disposte con le immagini all'insù e dando uno "schiaffo" accanto alle figurine si doveva cercare di ribaltarle, il numero delle carte ribaltate venivano vinte. Lo "schiaffo" era in realtà uno "scuppulone", battuto con molta forza sulle soglie delle abitazioni, era quello il luogo dove si svolgevano queste splendide partite. Più forte era il colpo, più figurine si ribaltavano e ... più rossa diventava la mano del "vincitore". I più bravi avevano sempre le mani gonfie. Era una sofferenza "dolce", perché allietata dalle tasche stracolme di figurine. Particolare folkloristico: le partite erano così avvincenti che si formava anche il pubblico, in quelle circostanze uscire di casa, per chi ci abitava, diventava un'impresa e si concludeva con il fatidico "Scè sciucati 'nnanzi a casa vostra!"